Tifeo   o   Tifone

 

Dopo la sconfitta dei Giganti, la Madre Terra si unisce col Tartaro per generare Tifone o Tifeo, che la vendichi. Costui é un mostro spaventoso, altissimo, dalle immense braccia e ali, con mani che sono tante teste di serpenti e le gambe pure costituite da grovigli di serpi. Sputa fuoco dagli occhi e dalla bocca. Tifone si scaglia contro l'Olimpo, ma dopo un iniziale successo su Zeus ha la peggio e viene precipitato e imprigionato sotto la Sicilia. Narra la leggenda che la Sicilia è sorretta da questo gigante chiamato Tifeo, che per aver osato impadronirsi della sede del cielo venne condannato a questo supplizio.

Anche secondo ovidio, nelle sue "metamorfosi" tifeo era incatenato sotto l'isola di sicilia...

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Ovidio - Le metamorfosi

Libro Quinto

Diceva che Tifeo, emerso dalle profondità della terra,

aveva terrorizzato i celesti al punto da volgerli in fuga,

finché, sfiniti, non li accolse la terra d'Egitto,

dove il Nilo si ramifica in sette foci.

E che Tifeo, figlio della Terra, giunse fin là,

costringendo gli dei a celarsi sotto mentite spoglie:

"Guida del branco", disse, "divenne Giove, per cui in Libia

ancor oggi Ammone è raffigurato con corna ricurve;

il dio di Delo si mutò in corvo, il figlio di Sèmele in capro,

la sorella di Febo in gatta; in nivea vacca si celò la figlia

di Saturno, Venere in pesce e nelle piume di un ibis Mercurio".

Qui, accompagnandosi con la cetra, terminò il suo canto;

toccava a noi dell'Aonia. Ma tu forse hai da fare

e non hai tempo di ascoltare quello che cantammo".

"Non preoccuparti e riferiscimi per intero il vostro canto",

le rispose Pallade, sedendosi nella penombra del bosco.

Riprese la Musa: "Affidammo a una sola il compito della gara:

si alza Calliope e, raccolti con un tralcio d'edera i capelli,

dopo aver saggiato col pollice la sonorità delle corde,

con i loro accordi accompagna questo canto:

Per prima Cerere smosse col vomere dell'aratro le zolle,

per prima diede in coltura alla terra messi e frutti,

per prima diede leggi: a Cerere dobbiamo tutto.

Lei devo cantare; volesse almeno il cielo che potessi

dedicare versi degni a una dea così degna di un carme.

Immensa sulle membra di un gigante si distende l'isola

di Trinacria: sotto il suo enorme peso tiene schiacciato

Tifeo, che aveva osato aspirare alle sedi dei celesti.

Lui, è vero, si agita dibattendosi per rialzarsi,

ma sopra la sua mano destra sta Peloro, vicino all'Ausonia,

sopra la sinistra tu, Pachino; Lilibeo gli preme le gambe,

sopra il capo gli grava l'Etna; e Tifeo riverso sul fondo

dalla bocca inferocito erutta lava e vomita fiamme.

Spesso si sforza di rimuovere la crosta che l'opprime

e di scrollarsi di dosso città e montagne:

allora trema la terra e persino il re dei morti teme

che il suolo si squarci, che una voragine ne riveli i segreti

e che la luce irrompendo semini tra le ombre terrore e caos.

Proprio temendo queste calamità il sovrano era uscito

dal regno delle tenebre e su un cocchio aggiogato a neri cavalli

percorreva la Sicilia per saggiarne le fondamenta.

Convinto ormai che nessun luogo vacillava, si tranquillizzò,

quando in questo suo vagare dal monte Èrice, dove viveva,

lo vide Venere che, stretto a sé il suo figliolo alato, disse:

"Armi e braccio mio, tu, figliolo, tu che incarni il mio potere,

prendi quell'arco con cui vinci tutti, mio Cupido,

e scaglia le tue frecce folgoranti in petto al dio,

che l'ultimo dei tre regni ha avuto in sorte.

Alla tua mercé tu sai ridurre i celesti, Giove stesso,

le divinità del mare e persino chi su loro regna:

perché l'Averno fa eccezione? Perché non estendi il tuo dominio

e quello di tua madre? In gioco è la terza parte del mondo.

 

Sopra  dunque la sua mano destra sta Peloro (Messina), sopra la sinistra Pachino, Lilibeo (Trapani) gli comprime le gambe, e sopra la testa grava l'Etna. Dal fondo supino, Tifeo inferocito proietta sabbia e vomita fiamme dalla bocca. Spesso si sforza di smuovere il peso e di scrollarsi di dosso le città e le grandi montagne: allora la terra trema.

Quale personificazione e per dare una spiegazione umana al vulcanesimo sorse il mito greco di Tifeo, il gigante ribelle confinato da Zeus  sotto l'isola di Pithecusae, che erutta fuoco rendendo calde le acque e che, con il suo irrequieto agitarsi, provoca terremoti e quale allocazione migliore poteva trovare il mito se non la Sicilia essendo questa sede di  grandi e possenti vulcani (Etna-Vulcano-Stromboli).

 

Tifeo, come narra  Esiodo nella Tifonomachia, ritenuta spuria da molti critici, ai vv. 820-860, è figlio del Tartaro e di Gaia, la quale lo genera con l'intenzione di farne l'oppositore di Zeus e il vendicatore di Crono, al quale voleva fosse restituito il trono degli dei. Il suo aspetto era quello di un mostro dalle cento teste di serpente, dagli occhi ardenti e dalla voce "ora di un toro superbo, alto muggente, dalla forza infrenabile, ora somigliante alla voce di cani, meraviglia ad udirsi, ora infine fischiava e ne echeggiavano le grandi montagne". Il gigante, fedele alle consegne materne, si ribella a Zeus, il quale, irato nel cuore, dopo un'aspra lotta, lo getta "nel Tartaro ampio".

Al mito di Tifeo accenna già Omero nell'Iliade (II, 780-783), collocando però la sua sede nella terra degli Arimi.

Ma andavano gli armati come se l'intero terreno ardesse
e sotto gemeva per l'ira la terra per l'ira di Zeus che avventa i fulmini
quando sferza la terra intorno a Tifeo fra gli Arimi,
dove si dice Tifeo abbia il letto.

Fra gli Arimi lo si trova anche nella Teogonia di Esiodo (295-308), quando si unisce in amore con Echidna, mostro metà fanciulla e metà terribile serpente, attraverso la quale "concepì figli dal cuore violento" .

In genere gli antichi identificavano  il nome Arimi con la regione dei vulcani di Cilicia, anche se Strabone (XIII,626 e sgg.) afferma che per alcuni gli Arimi sono in Cilicia, per altri in Siria, altri identificano, invece, gli Arimi con Pithecusa poiché scimmia in lingua etrusca si dice arimos.

Per vari autori latini, a partire da Virgilio (Eneide, IX, 715-713), invece, la sede di Tifeo è  Ischia.

Tum sonitu Prochyta alta tremit durumque cubile
Inarime Jovis imperiis imposita Typhaeo.

Allora per il rimbombo tremano l'alta Procida e Inarime
duro letto imposto da Giove a Tifeo.

 Il primo a localizzare sotto l'Etna Tifeo, pur definendolo Cilicio, fu il poeta Pindaro. (Pitiche, I, vv. 13-28),  Per Pindaro, come già Eschilo (Prometeo incatenato, vv. 351-372), Tifeo, tuttavia, giace sotto tutta la regione vulcanica che si stende da Cuma all'Etna collegando in tal modo i fenomeni vulcanici campani con quelli della Sicilia.

Nel Medioevo si credeva all'esistenza di questi uomini giganteschi, oltre che per l'autorità delle fonti antiche, anche per le testimonianze bibliche: " C'erano sulla terra i Giganti a quei tempi - e anche dopo - quando i figli di Dio si univano alle figlie degli uomini e queste partorivano loro dei figli: sono questi gli eroi dell'antichità, uomini famosi" (Genesi 6,4).
Nella mitologia classica, invece, i Giganti erano i figli mortali nati dalla Terra e dal sangue di Urano. Quando si sollevarono contro Zeus, vennero sterminati nella pianura di Flegrea e sprofondati nel Tartaro.

Sia i giganti classici come Tifeo che il biblico Nembrot sono accomunati da una stessa pena, l'immobilità, per un identico peccato: il tentativo di ergersi al di sopra di tutti e conquistare la supremazia dei cieli.

Tifeo Inf. XXXI, 124
cit. Pd.VIII, 70
Tifeo, o Tifone, era il più gigantesco fra i figli di Gea e di Tartaro: le sue mani toccavano l'Occidente e l'Oriente, la testa il cielo. Il suo corpo mostruoso era alato, con cento serpenti sul dorso.
Durante la sua tremenda lotta con Zeus vennero divelte intere montagne, finchè Tifeo morì sepolto sotto la Sicilia, sotto una pioggia di folgori.

DANTE

Canto VIII PARADISO

Parla Carlo Martello

argomento del canto

E la bella Trinacria, che caliga
tra Pachino e Peloro, sopra 'l golfo
che riceve da Euro maggior briga,                           69
  non per Tifeo ma per nascente solfo,
attesi avrebbe li suoi regi ancora,
nati per me di Carlo e di Ridolfo,                          72
  se mala segnoria, che sempre accora
li popoli suggetti, non avesse
mosso Palermo a gridar: "Mora, mora!".           

 

Ed ecco tutta la leggenda ....

Tifeo o Tifone,  è un mostro figlio di Gaia, la Terra, e del Tartaro; ma si racconta anche una storia bizzarra: Gaia aveva calunniato Zeus e la moglie Era, che le aveva creduto, chiese a Crono una vendetta adeguata contro i misfatti del divino consorte. Crono le dette due uova da lui fecondate che, sotterrate, generarono Tifone, mostro capace di spodestare Zeus.

Una versione ancora diversa lo dice nato da Era senza alcun intervento maschile - così come già ella aveva generato Efesto - che poi lo affidò alle cure del drago Pitone, crudele creatura capace di profetare, e come tutti i mostri, nato da Gaia.

Tifeo era tanto smisurato da arrivare a toccare le stelle con la testa; quando allargava le braccia raggiungeva i confini del Mondo, al posto delle dita aveva teste di drago, dalla cintola in giù era un groviglio di serpi velenose, era in grado di volare e sputava fuoco dagli occhi.

Quando gli Dei lo videro assalire il Cielo fuggirono atterriti in Egitto, dove assunsero le più diverse forme animali per mimetizzarsi; solo Atena e Zeus rimasero a fronteggiarlo, quest'ultimo cercando di sopraffarlo con i fulmini e la sua falce micidiale; ma Tifone ebbe momentaneamente la meglio, strappò la falce al Dio e gli recise i tendini, che poi nascose in una pelle d'orso affidata alla dragonessa Delfine, mentre Zeus fu rinchiuso in una caverna.

In suo aiuto mossero Ermes e Pan, che riuscirono a rubare i tendini e a rimetterli al loro posto nel suo corpo; Zeus riacquistò quindi la sua forza e, risalito il Cielo su un carro trainato da cavalli alati, sottopose Tifone a una granicola di dardi, tanto da indurlo a fuggire. Iniziò pertanto un inseguimento che, dopo varie avventure, si concluse in Sicilia dove Zeus fece precipitare l'Etna su Tifone, che rimase schiacciato ma non cessò di vomitare fuoco e fiamme. Il figlio mostruoso di Gèa e del Tartaro fu  marito di Echidna, con la quale generò solo dei mostri, fra cui il cane Cèrbero, l'Idra di Lerna, Ladòne e Ortro. La leggenda gli attribuiva centro teste di drago, ed una forza invincibile.

 Secondo una curiosa variante della leggenda Tifone non sarebbe stato figlio di Gèa e del Tàrtaro bensì di Giunone che, gelosa del fatto che Giove avesse dato vita, senza il concorso di lei a Minerva, avrebbe chiesto al Cielo, alla Terra e alle altre divinità primigenie, di poter fare altrettanto: e, toccando la Tenta, ne avrebbe fatto balzar fuori Timeo, in mezzo ad un fetore pestilenziale, e l'avrebbe essa stessa incitato a muover guerra senza quartiere a Giove. Saturno invocò l'aiuto dei fratelli: quattro Titani si strinsero intorno a Giove; tutti gli altri parteggiarono per il fratello spodestato. E la guerra scoppiò terribile. Per dieci anni dalle cime del monte Otri, fronteggiante l'Olimpo, i Titani furibondi sferrarono assalti sopra assalti: e sempre l'esito pendeva incerto. Finalmente Giove, risoluto a vincere a ogni costo, scese nel profondo Tartaro dove Urano aveva incatenato i Ciclopi e i Centimani, ridiede loro la libertà e ne fece i propri alleati. I Ciclopi gli fornirono le folgori, i Centimani misero al suo servizio le loro cento braccia: e la battaglia si riaccese violenta. Giove, dal cielo e dall'Olimpo, lanciava saette. Dalla sua mano le folgori di fuoco gli volavano via senza posa tra lampi e tuoni. Le montagne nelle fiamme fremevano, crepitavano le selve e la terra, e i flutti dell'Oceano e il mare immenso ribollivano. Il fuoco avvolse i Titani in una vampa smisurata che salì fino all'etere: e i Titani ne furono accecati. Infine, i Titani, nonostante il loro coraggio orgoglioso, non valsero più a sostenere la lotta. Vinti, furono oppressi di catene e precipitati negli abissi , tanto lontani dalla superficie della terra quanto la terra è lontana dal cielo. Anche Saturno fu incatenato. Giove si riassise sul trono dell'Olimpo. Regnava, gli nascevano numerosissimi figli, ma il suo regno non era tuttavia sicuro: Gea non aveva perdonato. E suscitò contro Giove il gigante Tifeo, che ella aveva procreato unendosi col Tartaro. Era Tifeo un pauroso gigante che superava in altezza ogni montagna e toccava con una mano l'Oriente e con l'altra l'Occidente; agitava senza requie le braccia, non conosceva stanchezza; dalle cosce gli uscivano vipere, le guance erano irte di crini, il corpo era coperto di penne, sulle spalle gli si ergevano cento teste di drago, ciascuna delle quali vibrava una lingua nera; gli occhi sprizzavano fiamme. Alla vista dell'orrenda creatura gli Dei sbigottiti fuggirono in Egitto; solo Giove affrontò il mostro; ma ...... ....... avvinto dalle serpi, cadde in potere dell'avversario che gli recise i tendini delle mani e dei piedi e lo rinserrò nel proprio antro in Cilicia. Giove languiva in prigionia, allorché per sua buona sorte Mercurio seppe ritrovarlo e ridargli prima la libertà e poi l'uso dell'antico vigore. Allora il Dio riprese la lotta, abbatté con la folgore Tifeo, lo costrinse a rifugiarsi nella Sicilia, lo schiacciò sotto l'Etna. La sua sconfitta assicurava definitivamente la sovranità di Giove, signore degli Dei e degli uomini.

 

             Massimo Mastronardo

MITI

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