La Storia

 

 

 

- I TERREMOTI -

 

Un capitolo a parte riserviamo al triste ricordo dei terremoti che nei secoli hanno contribuito a cambiare il volto urbanistico e architettonico di questa città, oltre che a dare connotazione particolare al carattere degli ambitanti di questa striscia di terra.

 

    Che la Sicilia sia terra di natura vulcanica è cosa nota, che poi si trovi sulla faglia tra il continente europeo e quello africano è altrettanto noto. Questa particolare morfologia ha fatto sì che terribili e memorabili sismi abbiano nei secoli sconvolto e cambiato l’orografia dei luoghi. Ricordiamo qui brevemente i terremoti  che più degli altri hanno segnato la vita e gli avvenimenti della nostra città.

 

    Il primo disastroso terremoto di cui si abbia memoria è quello che scosse dalle fondamenta Messina all’alba del 4 febbraio 1169 a causa del quale il mare ritiratosi dalla spiaggia si riversò devastante  contro le mura della città  e le superò.

 

    Tra i più sconvolgenti e temibili che abbiano distrutto il capoluogo  vi fu anche il terremoto del 25 agosto 1613, notevole sia per la durata che per le molte repliche.

 

    Altro terremoto spaventoso fu quello avvertito il 29 marzo 1638, giorno di sabato delle Palme alle ore 22,00.

 

    Il terremoto avvertito il 9 gennaio 1693 fu molto violento e  ancora più forte fu la scossa avvertita dopo due giorni.

 

    Ma quelli che più di tutti cagionarono danni e lutti furono i terremoti del 1783 e del 1908.

 

    Il 5 febbraio 1783 si udì un rombo, la terra tremò violenta, il suolo traballò, ondeggiò, sussultò, e il mare sembrò sconvolto sin nei più profondi abissi. In pochi secondi l’opera laboriosa di secoli, il lavoro di tante generazioni, tutti gli incanti della natura e dell’arte furono per sempre perduti. Il cielo stesso si fece cupo e minaccioso, le nubi, tinte di rosso, sembravano abbassarsi sulla città avvolgendo l’atmosfera in un’afa opprimente, il suolo si avvallava in alcuni punti e si fendeva in altri, i venti soffiavano con una forza impressionante ed una pioggia torrenziale alternata a grossa grandine cadeva improvvisa. Le case crollavano, le grida e i lamenti si confondevano in un unico immenso gemito di dolore. Scoppiavano incendi, che finivano di devastare ciò che restava nella città. In quell’anno altre scosse più o meno forti si susseguirono,  tanto che ne furono contate non meno di 300. Fra le macerie furono rinvenuti più di 700 cadaveri. Sparirono insieme agli edifici che le fiancheggiavano le strade dei Cappellari, dei Fornari, dei Calderai, dei Ferrari, dei Tintori, dei Casciari, degli Argentieri, dei Bottonari, di S. Filippo Bianchi, gran parte della strada Maestra, quella del Rovere, e quella dei Banchi. La strada della Marina rimase tutta sconquassata.

 

    Altra terribile catastrofe tellurica fu quella del 28 dicembre 1908 che distrusse Messina dalle fondamenta uccidendo in pochi minuti ben 30.000 dei suoi cittadini e 70.000 degli abitanti della sua provincia. La città Peloritana doveva ancora una volta conoscere i lutti provocati da un nuovo sconvolgimento tellurico. Era appunto la sera  del 28 dicembre 1908, il Natale era appena trascorso e si aspettava il Nuovo Anno. Quella sera nell’illustre e glorioso teatro  Vittorio Emanuele, dalla sublime acustica,  si dava l’Aida, fu quella l’ultima rappresentazione. Il mattino dopo il pallido sole invernale sorse a rischiarare cumuli di macerie e corpi straziati. La morte e il dolore si erano impossessati della nostra bella città. Le cronache narrano che erano le ore 5,21 del mattino, l’aria era ferma e stagnante, a dispetto della stagione invernale non c’era freddo, quando ad un tratto un rombo spaventoso, la terra cominciò a tremare rovinosamente, i palazzi si accartocciavano come fogli di carta, gli uomini venivano sbalzati da una parte all’altra. All’assordante fragore delle case che crollavano si aggiungeva il gemito del mare impazzito che si infrangeva alto contro la costa. Le urla disperate della gente, colte nel sonno, echeggiavano in ogni parte della città. Il cielo brillava di una luce funerea.

    Tutto ciò che la popolazione di Messina aveva laboriosamente e coraggiosamente ricostruito fu definitivamente distrutto. L’operosità dei cittadini che aveva sfidato le leggi della natura  in quegli attimi sembrava uscirne definitivamente sconfitta. Scilla e Cariddi erano risultati vittoriosi nell’ultima battaglia. 

    Le successive scosse sismiche fecero crollare quel poco che era rimasto miracolosamente in piedi e dove non poté il terremoto distrussero gli incendi. Messina diventò un ammasso di macerie. L’alba restituì ai sopravvissuti uno sconvolgente scenario di annientamento, di rovine, di corpi martoriati.    

    Pioveva e al freddo si alternavano ondate di afa. I superstiti, seminudi portavano i feriti adagiati su barelle di fortuna verso ospedali improvvisati giacché degli originari nosocomi non restava più nulla, tutta l’organizzazione sanitaria della città era sparita, rasa al suolo. I boati, a cui seguivano il fragore di nuovi crolli, sembravano non avere più fine.

    La catastrofe era stata totale. Accadde però che in questo estremo lembo d’Italia, spesso ignorato dallo Stato, soggetto a oppressori di ogni tipo e razza, flagellato spesso dalla natura e sempre per la tenacia dei suoi abitanti ricostruito, ed in quel frangente  prostrato e annientato,  fu portato un messaggio di speranza e una concreta dimostrazione di soccorso e solidarietà dalle navi russe con la corazzata Makarov e gli incrociatori Oslav, Slava e Cosarevic sotto la guida dell’Ammiraglio Leitimov e di quelle inglesi, con la corazzata Sutlej e gli incrociatori Euryalus e Duncan guidati dall’Ammiraglio Curzon Howe, che per prime giunsero in città. Il  coraggio di quella flotta russa è ricordato ancora oggi in una lapide affissa sulla facciata del Palazzo Comunale e scoperta da Raissa Gorbaciov durante una sua visita nella nostra città sul finire degli anni ’90.

    Le cronache narrano che la mattina del 30 dicembre, arrivò a Messina anche il Re Vittorio Emanuele III insieme alla moglie, la Regina  Elena. Una statua della sovrana è stata eretta a ricordo non solo di quell’episodio, ma soprattutto per serbare memoria della grande umanità della nobildonna nei confronti dei messinesi. La statua in questione oggi si trova in Via Largo Seggiola prospiciente la via C. Battisti. Insieme ai sovrani vi era  il ministro Guardasigilli Vittorio Emanuele Orlando e il Generale di corpo d’armata Mazza. Portarono con sé i soccorsi in termini di uomini con medici, infermieri, pompieri e soldati del genio per trovare i superstiti e cominciare a pensare alla ricostruzione, oltre che per prestare i più immediati interventi con coperte e viveri.  Le nazioni del mondo si mobilitarono per aiutare la martoriata Messina. A memoria di ciò vi sono zone della città nei cui nomi si ricorda ancora oggi la gara di solidarietà delle nazioni: Villaggio Svizzero, Ponte Americano, Quartiere Lombardo, per dirne alcuni.

    Messina fu ricostruita seguendo le leggi antisismiche: strade larghe a palazzi bassi. Ma la storia gloriosa della città crollò insieme agli antichi palazzi. Nulla fu più come prima.

  

 Cartoline che ricordano il catastrofico terremoto del 1908

 

 

 

 

 

questa cartolina del 16 gennaio 1909 è francese, spedita a Parigi e testimonia il fatto che vasta eco ebbe in tutta Europa l'evento calamitoso che colpì Messina il 28 dicembre 1908

 

E QUI SOTTO LE IMMAGINI DELLA RICOSTRUZIONE

 

 

 

 

 

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