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Messina tra leggenda e storia
1595 – 1708
...Continua la nostra Storia, e le cronache narrano...
...Il 2 settembre 1595, essendo re di Spagna Filippo II, si sparse la notizia in Messina che una flotta turca aveva assaltato le coste calabre e si accingeva a passare lo Stretto. I messinesi allora presero le armi e accorsero a difesa della città. Ben presto si ritrovarono a raccolta ben 12mila uomini inclusi quelli del contado e circa 550 dalle città vicine. Bastarono questi preparativi, perché i Turchi, conosciutili, cambiassero proposito. Ed infatti dopo aver saccheggiato il litorale calabro fecero ritorno a Costantinopoli. In questa occasione lo Stradigò principe di Geraci concepì l’idea di costituire una congregazione permanente di cavalieri, il cui compito fosse quello di essere pronti per primi alla difesa della Patria ogni volta che ce ne fosse bisogno. Questa associazione venne istituita poco dopo sotto il nome di Cavalieri della Stella, ed ebbe ordinamenti e mire del tutto repubblicane. Il capo di essa aveva il titolo di Principe. Questi cavalieri portavano sul petto una stella d’oro smaltata da cui il loro nome.
La congregazione cessò di esistere con gli avvenimenti del 1678, guerra contro la Spagna, di cui si dirà tra breve. Vero terremoto ideologico per la nostra città. A cui bisogna dire grazie, per non aggiungere altre parole ben più calzanti, ma che abbiano dello scurrile, allo Stradigò Dell’Hojo e a Francesco Benavides, che defraudarono per sempre la cultura millenaria dalla nostra città, che invece fino ad allora era stata culla di tutte le grandi civiltà per bontà di leggi e di uomini. Essi ci privarono della nostra identità storica, ci misero gli uni contro gli altri, e Messina fino ad allora unita e gloriosa in tutte le sue componenti si smembrò in fazioni, e quell’amor patrio da sempre insito nei suoi abitanti sparì per sempre per lasciare posto al fatalismo, al disfattismo alla cultura del sospetto. Questo avvenimento ha immesso nel DNA delle future generazioni di messinesi voglia di sopraffazione, ha tolto quel sentimento di unità e privato della generosità di aiutare sia il proprio fratello che di chiedeva soccorso e aiuto. La paura, l'egoismo e il disfattismo sono diventati i compagni di vita della collettività messena.
Torniamo dopo questa piccola digressione al nostro racconto, ci eravamo fermati…
Nell’Ottobre del 1595 Carlo V, imperatore e re di Spagna, quello per intenderci nel cui impero non tramontava mai il sole, disfatti i turchi, era in Sicilia e nella seconda metà del mese di ottobre viaggiava verso Messina, quando fu colto da un temporale. Egli trovò rifugio nel convento di S. Placido Calonerò retto dai monaci di S. Benedetto. Uno dei suoi dignitari, colto da una folgore, morì. Fu sepolto nel convento in un sontuoso sarcofago. La mattina successiva l’imperatore mosse verso la città di Messina e vi entrò attraverso il borgo Zaera. Fu accolto dalle alte cariche civili e religiose, fra le quali l’Arcivescovo Antonio di Legname. Entrò da quella porta che oggi non esiste più ed è sede stradale della maestosa Via Porta Imperiale, sede oggi di negozi e calzaturifici.
Nel popolo e nella nobiltà covavano antichi rancori, e entrambi l’avevano con la Spagna ed i suoi ministri. Nel 1674, durante la celebrazione della festività della Madonna della Lettera, comparvero esposti nella bottega di un sarto certe figure ed emblemi colorati ritenuti offensivi per i Merli, qualcosa nell’animo della gente stava cambiando in modo negativo, ma perché? La notizia si diffuse così rapidamente e il fatto fece così tanto clamore che la bottega del sarto fu assalita e ci furono molti scontri. Tra Merli e Malvizzi si scatenò una terribile battaglia. Ma chi erano questi Merli e chi erano questi Malvizzi cerchiamo di fare chiarezza e di capire cosa accadde...
Messina batteva Moneta ed era la città più importante siciliana, molti la temevano sia per gli innumerevoli privilegi millenari di cui godeva la nostra città, sia per il valore civico e guerriero dei suoi cittadini. I benefici di cui si valeva la città erano talmente numerosi che suscitavano e scatenavano invidie da parte non solo delle altre nazioni, ma anche da parte delle altre città siciliane. Ma Messina, donna regale e bellissima, sempre distrutta da eventi naturali e dalla malvagità umana, è sempre riuscita a risorgere più bella e più forte di prima. Dunque qualcuno pensò bene di strappare e lacerare le vesti più regali di questa "madonna".
Il Generale dell’Hojo nel 1671 iniziò una campagna deleteria per creare fazioni e divisioni all'interno di una città coeva che aveva nei secoli tratto forza dall'unione dei suoi cittadini. Cominciò allora a blandire la plebe ed ad assecondare i nobili e subdolamente li aizzò gli uni contro gli altri. Insinuò nell’animo del popolo livori contro i nobili e i ricchi, e accese nell'animo dei ricchi il tarlo del sospetto contro il popolo. Essendo quelli tempi di miseria e carestia, gli era molto facile dar ad intendere al popolo che quelle calamità erano dovute alla superbia dei nobili, i quali facevano patire ai poveri la fame, mentre ai ricchi suggeriva che il popolo meditava una sommossa contro di loro. L'Hojo lasciava pensare che, mentre la plebe languiva, i patrizi erano provvisti di grano e vettovaglie. Le malvagie intenzioni dell’Hojo raggiunsero il loro effetto, poiché il popolo persuaso da quelle affermazioni, si armò e assalì la case dei Senatori, grandi artefici della Messina che fu, mettendole a sacco e fuoco. Nacquero tumulti quotidiani, nei quali furono incendiati ben 18 palazzi. La città era in preda della guerra civile.
Messina per la prima volta si divise in due fazioni i Merli ed i Malvizzi. I primi volevano tenere inalterati i grandiosi privilegi che la città aveva acquisito nel tempo e mantenere la classe Senatoria, i secondi caldeggiavano un governo fatto dal popolo.
Giunta la notizia della rivolta a Palermo, il viceré Ligny, partì alla volta di Messina con un buon numero di soldati, portò frumento, cacciò l’Hojo e mise un po’ di pace nell’afflitta città. I messinesi risoluti a rompere definitivamente con la Spagna, decisero di chiedere la protezione del Re di Francia. Questi accettò la proposta e nel 1675 mandò a Messina il duca di Vivonne, con il titolo di Viceré di Sicilia. La Spagna però intendeva ridurre alla ragione e sotto il proprio dominio la città, con ogni mezzo. E quando, con un gesto eclatante i cittadini messinesi abbatterono le odiate insegne e i ritratti del re di Spagna, per sostituirvi quelli della Francia, dapprima gli spagnoli cercarono attraverso blandizie e false promesse di riprendere il possesso della città, poi, risultato vano ogni tentativo, assalirono la città sia per mare che cingendola d’assedio.
Nel febbraio del 1675 finalmente in aiuto alla città comparve la flotta francese capitanata dal duca di Vivonne. Appena l’ammiraglio spagnolo ne ebbe notizia la intercettò con le sue navi. Ne nacque una terribile battaglia presso le isole Eolie, che finì con la disfatta degli spagnoli. Vivonne trionfante entrò con le sue galere nel porto di Messina, dove fu ricevuto con grandi onori. Il Senato messinese giurò, in nome della città, fedeltà al Re di Francia. Dopo questo episodio la lotta tra Messina aiutata dai francesi e la Spagna, aiutata oltre che da Palermo anche dalle altre città della Sicilia, esclusa Augusta, durò accanita e senza esclusione di colpi sia per mare che per terra fino al 1678. Infatti in quell’anno, all’insaputa di Messina, i Re di Francia e di Spagna firmarono un trattato di Pace con il quale si abbandonava a se stessa la città.
Le truppe francesi si ritirarono sotto gli ordini del marchese di Lafeuillade. Il tradimento fu terribile e dagli effetti devastanti. Messina da sola non poteva reggere l’urto delle forze spagnole e sulla città si abbatté la vendetta e l’odio delle truppe aragonesi. Ogni privilegio fu perduto, il Senato abolito, la Zecca fu trasferita a Palermo, il Palazzo del senato fu distrutto, fu abolita l’Università, fu spogliato l’archivio e fu trasferito a Palermo, nella zona falcata fu costruita la Cittadella , "a eterno freno dei malcontenti". Ma cosa ancora più grave, gli spagnoli infierirono contro i presunti rei con persecuzioni e con condanne a morte.
La Trama contro Messina ormai era ordita. La città spaccata in due era facile terra di conquista per gli spagnoli. A completare tutto si mise anche il Re Francesco Benavides, alias Carlo II che fece qualcosa di vituperevole. La notte del 9 Gennaio 1679, distrusse questo infausto uomo, ancor di più del terremoto del 1783 e del 1908 che verranno in seguito, la memoria storica e l'identità della Città, rubando i privilegi e le pergamene della storia messinese, atti e documenti che raccoglievano le gesta e la grandiosità della più antica e nobile città di Sicilia, dalla torre campanaria del Duomo dove tali pergamene ivi erano raccolte. Li portò con sè per arricchire gli archivi della sua nobile famiglia. Ma non fece simile gesto solo quest'ultimo aspetto, ma soprattutto per togliersi di mezzo una città scomoda e troppo potente sia per il suo piccolo regno siciliano che per quello di tutta la spagna. Capì quest'astuto e lestofante vicerè che se Messina non avesse più custodito tra le proprie mura gli scritti della propria memoria, sarebbe naufragata per sempre nell'oblio della dimenticanza dove ogni cosa è perduta e smarrita. "Li dove non c'è memoria regna l'oblio". Nessuno avrebbe così saputo che con i Greci, i Romani, i Normanni, gli Svevi questa città era stata protometropoli di Sicilia e Magna Grecia, la più grande e la più amata da tutti i regnanti, la città federata e sorella a Roma, la più innalzata da Erodoto e da Cicerone, la città dove grandi consoli e imperatori si erano compiaciuti, nessuno avrebbe dunque più considerato che Messina era stata la città sede di gloriose ed indimenticabili gesta non leggendarie, ma bensì reali. Messina era stata nel suo passato la storia dove dentro si iscrivevano quotidianamente tutte le storie dentro le storie di quegli uomini che partivano per la terra santa, di quelli che miravano verso le crociate, di quelli che cercavano Dio scegliendo Messina come il punto di partenza per trovare il divino il creatore, si era la Storia delle Storie la bella Messina, ma nessuno lo avrebbe più saputo con il passare degli anni e delle generazioni. Si infranse per sempre così da quel giorno sciagurato, per questa storia, la memoria di Zancle, ma come se non bastasse fece di più quell'orribile generale di nome Benavides, quel Vicerè senza cuore e prepotente, rase al suolo il grandioso senato messinese, che era stato aulico al pari del senato Romano e che aveva contribuito a dare fama alla nostra città e preso dall'ira, dall'odio e dalla cattiveria, tolse in un sol colpo anche l'università e la Zecca. Messina perse così il suo primato siciliano ai danni di Palermo che boriosa invece di aiutare i fratelli peloritani si insuperbì a tal punto che in maniera subdola defraudo Messina di tutti i suoi beni e averi che con sangue e sacrificio conquisto nel suo glorioso passato. (Ma queste pergamene non sono andate perse con i secoli e tutte 1425 sono conservate nella biblioteca del Ducato di Medinaceli a Siviglia, ma nessuno li rivendica. Ed io mi chiedo perché?) E Benavides alias Carlo II senza scrupolo e senza contezza del gesto che stava realizzando issò al posto del palazzo senatoriale una scritta ingiuriosa ed infamante. Nel 1684 quella fu sostituita da un monumento assai più odioso e offensivo per la città: la statua di Carlo II. Questa venne fusa con il metallo del campanone del Duomo. L'odiato re era raffigurato mentre teneva con la destra lo scettro, e con la sinistra le redini del cavallo, i cui piedi posteriori posavano sulla base e gli anteriori erano rampanti in aria nell’atto di calpestare un’idra raffigurante Messina. Nel Piedistallo in latino vi era iscritto una frase che deve fare riflette e far venir orgoglio e amor patrio perché offensiva dei nostri sentimenti:
“Essendo Re delle Spagne e delle Sicilie lo invitto Carlo II, illustrissimo ed eccellentissimo don franscesco benavides d’avilles e corelles, conte di s.stefano, viceré e capitan generale, ispirandosi alla clemenza dell’augustissimo re, non dissimile alla Divina; affinché la demolizione di tutte le case dei ribelli, siccome sarebbe da praticare, non deformi il pubblico aspetto della città, ha disposto di abbatterne solamente una, il palazzo del senato, aspergendo di sale e facendo solcare dall’aratro il suolo sul quale sorgeva ed ove gli spergiuri e perfidi rettori di Messina, aderendo ai consigli dei malvagi, rotto ogni legame di fedeltà, si posero in viturpevoli congiure tendenti a demolire la regia autorità e sottomisi poscia all’autorità francese, causarono la rovina loro e quella della patria. E perché ov’erano esposte alla pubblica venerazione le dipinte sembianze del Re, soregessero le medesime in forma da resistere ad ogni nefando attentato, rinascono qui esse, eterne e fuse dal bronzo della campana che dalla propinqua torre convocava i ribelli ad inumane scelleraggini.Anno del Signore 1860.”
Questo monumento, che costituiva per la città un’offesa permanente e amara, eretto come detto nel 1684 rimase lì fino al 1708 quando fu rimosso da Filippo II.
Molti rivoltosi, soprattutto quelli appartenenti ai ceti sociali più umili, furono giustiziati, molte famiglie nobili invece presero la via del volontario esilio per sfuggire alle persecuzioni. Soltanto nel 1702, con l’editto di Filippo V in data 13 maggio, i fuggiaschi poterono rientrare dall’esilio e furono reintegrati nelle loro facoltà e nei loro beni. Fecero così ritorno a Messina le famiglie, Alibrandi, Avarna, Balsamo, Bavastrelli, Brigandì, Calabrò, Celi, Cicala, Crisafi, Coppolino, De Gregorio, Faraone, Fenga, Furnari, Galletta, Goto, Grasso, Greco, Laganà, Lazzaro, Majorana, Marchese, Marullo, Mazzeo, Mazzisi, Moleti, Mirone, Patti, Pellegrino, Porzio, Pozzinga, Reitano, Romeo, Saccano, Sergi, Sollima, Spadafora, Stagno, Trovato, Viperano, Zahami, Zuccarato, Zuccari, la marchesa di S. Teodoro, la marchesa di Gallodoro, e moltissime famiglie di popolani.
Dopo i fatti del 1678 dunque cittadini illustri, furono costretti all’esilio. Ho voluto elencare i nomi delle famiglie, per ricordare anche quali siano i cognomi delle famiglie più antiche della nostra città.
Molti personaggi insigni furono costretti a lasciare la città natia, e si fecero apprezzare nei luoghi dove trovarono rifugio. Ricordiamo Alberto Tuccari, poeta e soldato valorosissimo, il quale sotto le insegne di Venezia si distinse nella battaglia del Peleponneso. Antonio Crisafi, nominato marchese dai francesi, al quale fu affidato il supremo comando delle forze in Canada. Antonio Moleti, poeta e oratore che a Roma fu accolto nell’Accademia del Cardinale Ottoboni. Agostino Scilla, pittore e scrittore. Diego Zirilli, che divenne professore di Medicina all’Università di Firenze. Domenico Quartarone, che fu professore di Matematica nell’Università di Roma. Villamici, che fu ingegnere nell’Arsenale di Marsiglia. Andrea Marchese, dotto nella nautica e nelle arti della guerra che fu socio all’Accademia delle Scienze di Parigi ed ufficiale nei gradi più elevati della flotta francese. Cesare Marchese, che in Francia ebbe il comando di un reggimento di cavalleria e morì da prode con il figlio Giuseppe e il nipote Salvatore nella guerra delle Fiandre.
Questi i più famosi, ma tanti furono gli uomini che partendo per l’esilio si distinsero in terra straniera portando alto il nome della città che diede loro i natali: Messina.
40 a.C.-1233 d.C. 1250 d.C.-1571 d.C
1595 d.C.-1708 d.C. 1713 d.C.-1783 d.C.
1847 d.C.-1854 d.C. 1858 d.C.-19.. d.C.