Messinesi Illustri

Antonio Barbalonga

 

Fu allievo del Domenichino ed uno dei mag­giori pittori della scuola Siciliana. Nato da nobile famiglia nel 1601, si applicò nei primi anni della sua gioventù, allo studio delle lettere, indi, per naturale inclinazione al disegno, si diede a frequentare la scuola del Comandè, dove acquistò i primi e più importanti rudimenti della pittura. Partito da Messina per completare la sua educazione, fu ricevuto nello studio del Domenichino, dove fece così notevoli progressi, che in breve eccelse fra tutt'i discepoli di quel maestro. In picciol tempo, scrive il Grosso Cacopardo, Domenichino e Barbalonga divennero la cosa medesima, a segno che le loro opere si confondono; e precisamente nei putti non vi è chi dar si possa il vanto di distinguerli. Ed era in tal concetto tenuto dal Domenichino, che fu da lui scelto a fargli il suo ritratto. Sparsasi intanto la fama del suo merito, ed introdotto nella corte pontificia, divenne ben tosto il confidente d'Urbano VIII, ed ebbe l'onore di ritrarlo. Dei suoi dipinti, esiste in Messina nella chiesa dell'exsi trova a Venezia Oratorio dei padri filippini un S.Filippo Neri, finito nel 1634; nella sagrestia della medesima, il ritratto di suo zio don Francesco d'Aliberti; in S. Gregorio, il gran quadro del Titolare, finito nel 1636; altri in altre chiese. Il suo capolavoro è la Conversione di San Paolo, che si ammira nella chiesa di S.Paolo. Molti altri dipinti suoi furono dopo il 1678 trasportati in Ispana insieme ai Monumentali Privilegi della Città di Messina dal Conte di S. Stefano Benavides. Il Barbalonga visse gli ultimi anni suoi tormentato dalla chiragra. Ed anche allora, nelle ore in cui il male gli dava po' di tregua, si applicava a terminare una copia del quadro di N. S. della Lettera, che si venera nel Duomo. E quasi nel giorno stesso ebbe termine, insieme col dipinto, sua vita, spentasi, a soli quarantanove anni, nel 1649.

 

 

Anna Maria Arduino (Lodovisi)

Poetessa insigne, che alla nobiltà della nascita unì mirabilmente il pregio d'una grande bellezza e quello, ancor più prezioso, d'un fervido ingegno. Nacque a Messina nel 1672, dal principe di Palici. Fin dalla prima età mostrò talenti straordinari per le lettere, per la musica, pel disegno, che coltivò con successo.  All'età di sedici anni, studiando le belle lettere, compose alcune strofe poetiche, e fu dai maestri e dagli amici incoraggiata a leggerle in pubblico. Invaghitasi delle opere di Virgilio, che avea studiato tradotte, volle imparare la lingua latina per gustarne le bellezze nell'idioma originale. E riuscì a rendersi familiare questa lingua quanto l'italiana. Andata sposa al Giovan Battista Lodovisi Principe di Piombino, fu animatrice del circolo letterario del Giardino Lodovisi, dove, tra l'altro, presentò il Dramma di Apostolo Zeno I Rivali generosi. Conosceva da maestra la musica, la pittura, la danza, il ricamo... Sapeva anche maneggiar il cavallo e trar la spada, accoppiava l'uso delle più severe discipline coltivando la filosofia speculativa e naturale, la retorica, la teologia, la poesia e a queste univa la più profonda come detto conoscenza della lingua greca e latina, ma anche quella Francese e Spagnola. Successivamente A. si trasferì in Roma, dove pubblicò un volume di versi. Qui fece parte dell'Accademia dell'Arcadia con il nome di Gentilde Faresia. Morì in Napoli il 29 dicembre 1700, in età giovanissima.

 

 

Cajo Domenico Gallo

Storiografico tra i più grandi nati a Messina, nacque nel 1692 e morì nel 1780; fu distinto cultore delle lettere e storico pregiato. Di lui così scrive Gaetano Oliva nei suoi Annali di Messina:  “Occupando la carica di segretario del Senato in un'epoca in cui i migliori ingegni di Messina erano intenti a rivendicare alla proprio città nativa le perdute preminenze, egli divisò a comporre un' opera, nella quale la Storia di Messina potesse venire per disteso narrata sull'autorità dei migliori  scrittori, e alla base di moltissimi documenti che arricchivano le sale degli archivi comunale ed arcivescovile". Così nacquero gli Annali di Messina dalla fondazione della città sino al 1745, che il Municipio ha ripubblicati il 1877 e 1'82, e Gaetano Oliva(1843-1938) che ne aggiornò le pagine sino al 1860 in altri 4 volumi. Gli annali si dividono i 4 volumi e sono tra i testi più amati di chi studia la nostra Storia Patria.

 

 

Pippo Romeo

Nacque in Messina da famiglia patrizia nel 1733,e presto si segnalò per acume d'ingegno e natural brio. Studiò in Messina e poi in Napoli la letteratura, rendendosi familiari i classici italiani e latini. Tornato in patria, vi si fece tosto conoscere per le sue cicalate, poesie giocose e satiriche, che resero in breve popolare il suo nome. Di queste cicalate ne leggeva per incarico dell' Accademia Peloritana, una all'anno, in occasione dei trattenimenti di carnevale. Esse furono raccolte e pubblicate più volte in un volume, a Napoli e Messina; si leggono tuttavia con grande diletto, e sono il miglior monumento della fama di don Pippo Romeo. Egli fu più volte senatore e console nobile di mare e di terra. Morì a' 31 dicembre 1805.

 

Vieni a me stranier, che vuoi?

La tua Patria? - Fu Messina.

Il tuo nome e gli anni tuoi?

-Pippo e gli anni una trentina,

Fosti vate? - Mai lo fue

Quali furon le opre tue?

Qualche volta un sonettino

Fu Sublime? Triviale

Componesti mai in latino?

Rare volte. Bene - Male

E perchè creduto un vate?

- Perchè feci cicalate.

 

 

Antonio Maria Jaci

"La terra che mi accolse infante e si ha avuta tutta la mia vita, si abbia ancor essa le mie ceneri".  

Nacque a Napoli il 15 ottobre 1739 e fu uno dei più insigni matematici del tempo suo. La madre era messinese Agata Ferrara ed il padre Nicolò Jaci, napoletano. Già da ragazzino si trasferì nel capoluogo della Sicilia Orientale in casa di uno zio, Annibale dopo la morte dei suoi genitori. Egli, infatti, nonostante fosse nato a Napoli si sentiva soltanto messinese, legato da sensibile e mirabile affetto alla terra natia della madre. A diciott'anni si laureò dottore in fisica, matematica e medicina nel Colleggio dei Gesuiti a Messina(Università di Messina), ma fu colto e dedito studioso anche della Filosofia, materia che adorava; a ventisei anni, invece, prese i sacri ordini. Ma la sua inclinazione era sempre per la matematica, l'astronomia e la meccanica; e in queste scienze si rese in breve famoso, malgrado gli mancassero i mezzi pecuniari e fosse quasi cieco. Nel 1780 ritorna in campania dove viene nominato professore al Collegio nautico di Napoli, e poco dopo in questo seminario arcivescovile, dove spiegò Wolfio ed Euclide ebbe ricompensa solo di un' onza al mese! Senza alcuna raccomandazione e vivendo di stenti decise di ritornare al suo amore originario Messina e qui resterà fino alla fine dei suoi giorni. Nel 1783 insegnerà quindi al Seminario Arcivescovile di Messina Filosofia e Matematica ed anche qui con modestissimo stipendio. Appena l’Accademia di Londra propose un premio a chi desse il modo di determinare il grado di longitudine in mare, Jaci vi si applicò in modo da trovare la soluzione dell'arduo problema, la quale fu giudicata la migliore di tutte quelle presentate, e gli valse la nomina di membro dell' Accademia. Numerosi furono gli inviti e gli attestati che uomini illustri e rinomate accademie delle scienze gli tributarono. Lo scienziato messinese, però, declinò tutti gli inviti preferendo rimanere nella sua amata città. Nel 1802, dietro invito dell' Accademia dei Pericolanti Peloritani, costruì sul pavimento della Cattedrale quella mirabile meridiana, che forma per la sua singolare esattezza e perfezione l'universale ammirazione; essa segna la nascita del sole e la sua declinazione, il mezzogiorno, il segno dello zodiaco e il grado dell'eclittica. Sarà artefice di un'altra mirabile creazione geniale l'ampolletta mercuriale. Questo illustre scienziato morì quasi povero e cieco, per apoplessia, abbandonato da tutti, in una casetta del sobborgo di S. Leone, la notte del 4 febbraio 1815, in età di quasi 76 anni. Di lui rimangono molte opere pubblicate, e quelle inedite andarono sciaguratamente distrutte dall'incendio sviluppatosi in casa di Giuseppe Bonasera, suo nipote ed erede. Le sue spoglie mortali vennero sepolte nella Chiesa Maria di Portosalvo ma un alluvione le portò purtroppo via per sempre. Per chi vuol sentire il profumo di uomo umile giri per le vie del vecchio quartiere S.leone e attorno la nuova chiesa di Portosalvo. Anche se non era nato a Messina, era un messinese vero, autentico, forse molto di più di tanti messinesi, nati a Messina di oggi.

 

 

 

Giovanni Capece Minutoli

(Principe di Collereale)

 

Questo grande nobile messinese merita grandissimo rispetto per aver costruito in Messina l'Ospizio degli storpi con magnificenza regale. Nasce nella nostra città il 27 Aprile 1722 e già ha 24 anni intraprende la carriera militare. Arrivò con grande abilità velocemente a vestire il grado di Maresciallo di campo. Durante i moti reazionari del 1821 si schierò, viste anche le sue nobili origini, con la Corona, ma allo stesso tempo difendeva i più deboli, al Rossarol diede infatti i mezzi per salvarsi. Morì il 20 marzo 1827 e l'Ospizio da lui fondato venne inaugurato ufficialmente il 23 gennaio dell'anno successivo con cospicua dote di centomila Onze. Fu Sepolti nel convento dei frati cappuccini. L'Ospizio che quest'uomo di animo lucente sensibile creò funziona tutt'oggi e è visibile e attivo in Via Catania. I suoi eredi universali quei poveri, i diseredati, i paralitici, gli zoppi e gli storpi che lui tanto amava e che per questo motivo non possono procacciarsi gli alimenti necessari per vivere se non grazie ad una casa d'accoglienza. Scrisse proprio così nel suo testamento del 7 Luglio 1825.

 

 

Francesco Sicuro

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Giovanni Walser

Nasce ad Heyden nel 1769 e si trasferì a Messina a soli 24 anni e qui fondò una della case bancarie più accreditate in tutto il mondo. Messina dunque era anche centro dell'economia internazionale. Egli trattava con grande liberalità gli amici, i poveri, gli istituti di Beneficenza. Nel proprio testamento consacrò conspicui legati, fra cui 200.000 Onze al già citato Ospizio di Collereale. Fu proprio per questo gesto che la cittadinanza al suo funerale volle applaudirlo con un calore inaudito era il 14 marzo 1833 e di questo signore venuto da lontano, ma messinese d'adozione nessuno se ne dimentico.

 

 

Mario Aspa

 Fu insigne maestro e compositore di musica e fu uno dei più prolifici operisti del periodo 1830-1850. Nacque nella nostra fiorente città il 18 ottobre del 1785 e fu Battezzato nell'allora Chiesa di San Luca, fin da bambino fu incline alla divina arte dei suoni, tant'è che si disse << colla sola potenza della sua volontà e del suo ingegno, con uno indefesso fatto senza appoggio di maestri sulle partiture classiche, si mise in grado di musicare egli stesso e dare ancor giovane al nostro Munizione (il vecchio teatro di Messina), il suo primo lavoro Federico II>>. Successivamente M. si recò a Napoli, dove frequento un corso di perfezionamento, nella scuola del Maestro Iba, allievo del celebre contrappuntista Platone. Il Barbaja uno dei più grandi impresari napoletani gli offrì la scrittura di direttore dei Reali Teatri di S.Carlo e Fondo, con grande gioia dell'Aspa. Questa nuova avventura diede ancora più linfa al musicista-compositore messinese che in quel periodo realizzò moltissime opere, fra le quali: il Carcere, d'Ildegonda, i Due Forzati, il Deportato, di Cajenna, l'Hallan, i Due Savojardi. Strinse amicizia con grandi musicisti dell'epoca come Bellini, Rossini, Doninzetti e Mercadante. I suoi capolavori furono il Proscritto e Paolo e Virginia , quest'ultima opera, eseguita a Roma, gli valse un vero trionfo e fu ripetuta per benquindici sere. Scrive il Preitano, suo biografo: <<fu finita la prima rappresentazione e dovendo il maestro ripartire per Napoli con la corriera postale, gli fu improvvisata una dimostrazione di simpatia da una gran folla, che lo accompagnò per un buon tratto di strada con lumi di bengala, in mezzo ad un ovazione imponente e spontanea quanto meritata>>. Vi hanno spicco inoltre nelle sue opere, le pagine di "acrobazia vocale" e "le arie di bravura", che sono ricche di colpi di scena. Ad esempio nella “Muta orfanella” si narra di una giovane muta che salva una nobile dall'assalto di briganti in un bosco e mima il gesto che ha compiuto con grande efficacia. “Bartolomeo del Piombo” è il drammone passionale in cui si alternano rivalità, gelosie, gioia e disperazione, con trionfo finale dell'amore e della felicità. Ricevette anche inoltre l'onore di essere nominato Cavaliere di S.Cecilia.  Ttutto questo però fu destinato a tramontare per sempre a causa della sua parentela con i patrioti più accesi di quegli anni quali appunto gli Aspa e i Pispisa, tale nomea lo resero inviso alla polizia napoletana e per questo fu destituito da direttore dei Teatri. Tornato a Messina nel 1859, per poter campare dovette accontentarsi di fare il maestro di canto in una scuola comunale. Morì il 14 dicembre 1868, ma nonostante tutto quello che fece per la sua città natale, ai posteri non è ricordato neanche con una pietra al cimitero monumentale della nostra e sua città.

La Gazzetta di Messina del 1868, n° 286, scriverà:

"Messina fece quel che ciascun paese

fa d'ogni uomo comune:

lo vide nascere, lo vide morire.

Mai, e sempre mai, essa volle entrare

a parte dei compiacimenti del suo concittadino;

il quale per 30 anni raccolse di tutto Napoli

applausi Lode e Glorie;

il quale col suo Paolo e Virginia,

lasciò in Roma nel 1844 nome immortale,

ricevendo, oltre a infiniti omaggi,

anche l'onore di Cavaliere di S.Cecilia.

Eppure Messina, nonché un'opera,

neanco una nota sola sentì mai di lui. 

 

Le sue opere:

 

 

Oltre a 42 opere Aspa scrisse anche balletti, romanze e svolse attività di insegnante a Palermo. Ebbe due figli compositori, Rosario e Saro. E' caduto nella totale dimenticanza, ma la sua produzione costituisce un capitolo interessante del melodramma dell’epoca. Un artigiano di qualità volto a soddisfare le esigenze dello spettacolo e di una musica gradevole e comunicativa.

 

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