Eustochia Smeralda Calafato
Monaca appartenente all'Ordine delle Clarisse di S.Chiara
(Messina 1434-1485)
Credo che non sia azzardo affermare che il volto dell’Annunziata del pittore Antonello da Messina sia quello della sua grande e migliore amica Smeralda Calafato. Il pittore nacque nella Città dello Stretto probabilmente nel 1430 e Santa Eustochia (al secolo Smeralda Calafato) nacque il 25 Marzo 1434, giorno di giovedì santo, coetanei dunque. Smeralda fu la quarta dei sei figli di Bernardo Cofino detto Calafato e Mascalda Romano, modesti lavoratori: il padre possedeva una piccola imbarcazione con la quale esercitava il commercio anche per conto di altre persone, secondo gli usi del tempo e di Messina in particolare. Il soprannome Calafato, che poi si trasformò in cognome, derivò al padre proprio dal suo lavoro di calafatore: “calafatari” erano infatti coloro che incatramavano i gozzi, le barche di legno che servivano per la pesca. La piccola Smeralda trascorse i primi anni della fanciullezza senza notevoli avvenimenti, nella casa paterna, legatissima alla madre, che era fervente cristiana e che trasmise alla figlia i valori della religione. Si racconta che al momento della nascita la madre per potere partorire dovesse abbandonare la propria casa e andare nella stalla adiacente dove finalmente la piccola Smeralda venne alla luce. La Santa fin da fanciulla fu ammiratrice del francescanesimo e innamorata del Cristo e devota a Gesù Crocifisso. La povertà fu la sua regola di vita secondo i dettami dell’ordine francescano, e delle Clarisse. In Sicilia il movimento francescano osservante apparve nel 1421, ma ufficialmente lo si può datare dal 1425, quando il Beato Matteo d'Agrigento, che ne fu il valido organizzatore, ottenne da Martino V la facoltà di fondare tre nuovi conventi per i frati desiderosi di vivere secondo la regola del fraticello di Assisi. Il primo di questi conventi fu aperto proprio a Messina, dove il Beato Matteo, famoso ed ammirato predicatore, aveva suscitato con la sua ardente parola un grande entusiasmo tra il popolo e viva partecipazione alla riforma spirituale. A quelle prediche assistette anche Mascalda Romano, madre di Smeralda, che appena diciottenne fu conquistata dalle parole del predicatore per cui si scrisse nelle file del terz'ordine Francescano, consacrandosi ad una vita di intensa preghiera e di forti penitenze, dedicando il suo tempo alle preghiere e le sue sostanze alle necessità dei suoi concittadini bisognosi. Mascalda inculcò e trasferì i suoi sentimenti e le sue aspirazioni anche nella piccola Smeralda, iniziandola sin da bambina alla preghiera e all'aiuto dei fratelli bisognosi di cure materiale e spirituali. La fanciulla, che già aveva fatto tesoro degli insegnamenti materni, impostò la sua vita e tutti i suoi sforzi verso una vita religiosa rivolta alle regole del francescanesimo, ma, spirito eletto, si consacrò totalmente a Dio tra le Clarisse e più tardi fondò anche un nuovo monastero per poter più intensamente e profondamente seguire il suo ideale di perfezione cristiana. Prima però di iniziare e dare compimento alle sue aspirazioni, la piccola Smeralda dovette subire la prova di un triste, ma provvidenziale evento, l'unico di un certo di rilievo accaduto nella sua fanciullezza, che le chiarì ancora di più quale sarebbe stata la sua vocazione e quale il suo futuro. Nel dicembre 1444, quando Smeralda aveva circa undici anni, senza neppure essere interpellata e secondo i costumi del tempo, fu promessa dal padre in matrimonio ad un maturo vedovo di pari condizione sociale ed economica, ma il concertato matrimonio sfumò per l'improvvisa e repentina morte del promesso sposo nel luglio 1446. Anche se non pienamente cosciente di quanto era accaduto, l'evento dovette provocare nella piccola Smeralda un tremendo e comprensibile trauma, ma la Provvidenza divina che aveva ben altri disegni su di lei, se ne servì appunto per farle capire che la sua esistenza era rivolta a traguardi celesti e non materiali. Così la morte del promesso sposo spinse Smeralda a considerare nella sua vera realtà e alla luce del soprannaturale la vanità delle cose terrene e dei piaceri mondani, per cui nonostante reiterate pressioni dei parenti e le ottime occasioni che si presentavano per un nuovo fidanzamento, rimase sempre irremovibile nel rinunciarvi, decidendo di consacrarsi a Dio nella vita religiosa, decisione maturata verso l'età di 14 anni. I parenti però, e specialmente il padre, non erano assolutamente disposti ad assecondare le sue aspirazioni religiose e monastiche, da qui un inevitabile conflitto familiare, che la spinse anche a tentare una inutile fuga dalla casa paterna. Verso la fine del 1448, durante uno dei suoi soliti viaggi commerciali, il padre morì improvvisamente in Sardegna e questo fatto fece sì che più niente e nessuno ostacolasse Smeralda nel suo proposito di entrare in convento. Passò comunque un anno, e alla fine del 1449 Smeralda potè appagare il suo ardente desiderio entrando nel monastero delle Clarisse di S. Maria di Basicò in Messina dove le fu imposto il nome di Suor Eustochia: aveva circa 15 anni e mezzo. Fin dal noviziato la giovane suora si distinse per la pietà e le spiccate virtù. Incredibile fu l'impegno, lo slancio, l'entusiasmo con cui Suor Eustochia si accinse a vivere la sua vocazione dedicandosi alla preghiera, alla meditazione assidua della Passione di Cristo, alla mortificazione, al servizio delle inferme. Tutto ciò che sarebbe stato pesante e gravoso per gli altri, la giovane lo affrontava con gioia e slancio. I suoi progressi nella via della perfezione divina furono talmente cospicui ed evidenti da attirare su di sè l'ammirazione, la stima e la venerazione delle consorelle. Non bastava però a Smeralda di progredire sulla via della spiritualità, suor Eustochia desiderava che tutto il monastero risplendesse nell’amore di Dio e nella preghiera. Proprio in quegli anni la badessa del tempo, suor Flos Milloso, si era allontanata dalla rigorosa regola delle clarisse francescane e pur non trascurando le necessità spirituali delle suore, era troppo coinvolta negli affari terreni e temporali. Inoltre il convento di S. Maria di Basicò, che era uno dei più importanti della Sicilia di allora, era asilo delle nobili fanciulle messinesi e perciò oggetto dei privilegi dei re. Per tutto ciò Smeralda non poteva trovare il suo ideale di rinunzia e adesione alle severe regole di Santa Chiara, poiché l’austera vita monacale era mitigata da dispense che dispiacevano al suo spirito. Tutto ciò aveva creato un certo disagio e profondo disappunto nelle suore più ferventi e lige alla regola, e tra esse primeggiava suor Eustochia e poiché fallirono gli sforzi e i tentativi di riportare nel convento la più severa disciplina, la nostra Santa, insieme ad altre consorelle, decise di cercare altrove quanto mancava a Basicò. Maturò in lei il proposito di fondare un nuovo monastero secondo il genuino spirito della povertà francescana. Ottenuta, non senza difficoltà, la necessaria autorizzazione pontificia da parte di Papa Callisto III, col decreto del 18 ottobre 1457, Suor Eustochia andò avanti con i mezzi fornitile dalla madre e dalla sorella e la fattiva collaborazione del nobile messinese Bartolomeo Ansalone, oltre al sostegno morale di una consorella di Basicò, suor Iacopa Pollicino, che sempre la seguì nella difficile impresa e le rimase fedelmente accanto fino alla morte, superando immensi ostacoli, sopportando violente avversità e diverbi interni ed esterni. Nel 1460 suor Eustochia si trasferì nei locali di un vecchio ospedale adattato a monastero, dove la seguirono la sorella Mita (Margherita) ed una giovane nipote oltre, come detto, a suor Iacopa. Ben presto altre giovani si unirono al piccolo drappello, ma per sopravvenute difficoltà materiali e morali, le suore dovettero lasciare il vecchio ospedale, trovando generosa ospitalità nella casa del buon Bartolomeo Ansalone, primo e grande benefattore delle consorelle, sita nel quartiere detto di Montevergine o Monte della Vergine, in onore della Madonna, dove si trasferirono agli inizi del 1464. Con l'aiuto di molti benefattori la nuova dimora potè essere convenientemente allargata e sistemata, ebbe così avvio il Monastero di Montevergine del quale ben presto entrarono a far parte con Suor Eustochia, altre 12 anime pie e devote. Tutte assieme condividevano una vita povera ed evangelica dedicata alla preghiera. Smeralda trascorreva le notti insonni in preghiera in fondo alla Chiesa non reputandosi degna di stare vicino all’Altare e le sue giornate erano dedicate ai lavori più umili di cucina e pulizia.
Fattasi così madre spirituale delle consorelle che a lei si erano affidate, le istruì, le educò, le formò alla vita francescana, spronandole alla meditazione della passione di Cristo, comunicando loro i frutti delle proprie esperienze ascetiche, infondendo nei loro cuori l'amore alle virtù che ella stessa praticava con ammirabile costanza ed eroismo, permeando tutta la loro vita della spiritualità semplice e generosa del francescanesimo, che vedeva al centro di tutto la figura di Cristo in Croce da amare, emulare e pregare. Quel Cristo amante e sofferente, che nella sua umanità e divinità al tempo stesso sprigionava immenso amore e dava aiuto, sostegno e protezione per un'intensa e sentita vita liturgica. Quel Cristo che nel mistero dell’Eucaristia rinnovava il suo Amore.
Come per Chiara di Assisi, anche per Suor Eustochia la consacrazione a Dio si coniugava con l’estrema povertà, con la dedizione al prossimo sofferente e povero, con la fervente preghiera.
Una sua preghiera al Crocifisso mostra da quale desiderio di soffrire fosse animata:
"O dolcissimo mio Signore, vorría morire per lo tuo santo amore, cosí come Tu moristi per me! Forami il cuore con la lancia e con i chiodi de la tua amarissima Passione; le piaghe che tu avesti nel tuo santo corpo, che io le abbia nel cuore. Ti domando piaghe, perché mi è grande vergogna e mancamento vedere Te, Signore mio, piagato, che io non sia piagata con Te".
Diceva Smeralda che i Monasteri fondati sulla povertà sarebbero durati in perpetuo, che il vero tesoro si trova in Cielo. I poveri arrivavano al Monastero di Montevergine certi in un aiuto che arrivava puntuale, poiché la Divina Provvidenza soccorreva in ogni circostanza bisognosi e suore. Nel monastero di Montevergine la Beata Eustochia, nascondendo sempre i disturbi che l’affliggevano nel corpo, morì il 20 gennaio 1485, lasciando oltre una fervente e stimata comunità religiosa di circa 50 suore, il profumo delle sue virtù e la fama della sua santità. Molti furono gli episodi prodigiosi, fatti di miracolose guarigioni, (di cui si dirà a parte) che la videro protagonista durante la sua vita, per cui Ella poteva essere veramente definita l’Eletta del Signore.
“Figlie mie – disse alle consorelle prima di morire – abbiate il Crocefisso come un Padre e ne riceverete tutti gli insegnamenti di cui avrete necessità; ho fatto anche io così e, senza mai cercare conforto in esseri umani, mi sono sempre interamente abbandonata a Lui e ne ho ricevuto tutte quelle consolazioni che nessuno può dare…”
Per esortare le consorelle alla virtù e all'amore del Crocifisso, la Calafato scrisse un libro sulla Passione nel quale esorta all'amore del Crocifisso, insieme con l'adorazione eucaristica. Tutto il popolo senza distinzione di ceto si trovò unito nel medesimo dolore per la morte di Suor Eustochia, e si riversò al Monastero di Montevergine a piangere la Madre, l’Angelo della Carità, della Pace, della Concordia, l’Umile Serva di Dio, il Pio strumento di elargizione delle Grazie Celesti. Qualche giorno dopo la sua sepoltura, si manifestarono straordinari e mistici fenomeni che diedero inizio ad una popolare e vasta devozione verso di Lei. Spinte da quegli avvenimenti e sollecitate da personalità ecclesiastiche e laiche, le suore di Montevergine scrissero una biografia della loro venerata fondatrice e madre, mentre la fedele compagna Suor Iacopa Pollicino ne trasmetteva toccanti ed ammirabili cenni in due lettere a suor Cecilia Coppoli, badessa del monastero di S. Lucia di Foligno, nelle quali confermava o completava quanto di più interessante, prestigioso e virtuoso aveva notato nella Beata Eustochia. Il popolo di messinese sperimentava in molti modi e in varie circostanze che essa aveva un efficace potere di intercessione presso l'Altissimo, datore di ogni bene. Alla sua morte per tre giorni le Clarisse trattennero il corpo di Smeralda. Nulla in lei faceva pensare alla morte, sembrava che dormisse. Un delicato profumo veniva avvertito intorno al Lei. Poi il sacerdote impose il pietoso atto della sepoltura. Le consorelle che mai abbandonarono per un attimo la tomba di Eustochia sentivano provenire dal suo interno dei colpi sempre più insistenti. Per cinque giorni le Clarisse aspettarono, poi alla fine si decisero ad aprire la bara. E con grande stupore scoprirono che il corpo era sempre morbido al tatto, arti flessibili e pelle come seta, come se La Madre fosse ancora viva e poi, quel balsamico profumo avvertito prima della sepoltura si spandeva nuovamente per i locali. Il viso era di una dolcezza soave. Solo due rivoli di sangue fluivano ininterrotti dalle narici. E mentre le suore piangevano straziate dal dolore e le baciavano le mani, la Santa piegò le due ultime dita della mano destra lasciando distese le altre in atto di benedire. Questa posizione della mano è rimasta immutata da allora. Richiusa la cassa le suore la riaprirono dopo due giorni e constatarono che il sangue seguitava a scorrere dalle narici. Chiusero la cassa per l’ennesima volta e ne parlarono al Confessore facendogli osservare che una cieca e lebbrosa aveva riacquistato vista e salute al contatto di un batuffolo di cotone intriso di quel sangue. Il suo colpo fu nuovamente riesumato e dopo tre giorni cominciò a sudare fino al decimo giorno. Dopo questi fatti il corpo della Santa fu inumato e riesumato per più di un anno dal giorno della morte finchè fu deciso di custodire il corpo in modo visibile nel Monastero così come dai segnali aveva voluto Suor Eustochia. L'arcivescovo di Messina, nel 1690, scriveva alla S. Congregazione dei Riti: "Il suo corpo, da me diligentemente veduto e osservato, è integro, intatto e incorrotto ed è tale che si può mettere in piedi, poggiando sulle piante di essi. Il naso è bellissimo, la bocca socchiusa, i denti bianchi e forti, gli occhi non sembra affatto che siano corrotti, perché sono alquanto prominenti e duri, anzi nell'occhio sinistro si vede quasi la pupilla trasparente. Inalterate le unghie delle mani e dei piedi. Il capo conserva dei capelli e, quello che reca maggiore meraviglia, si è che due dita della mano destra sono distese in atto di benedire, mentre le altre sono contratte verso la palma della mano [accenno ad una benedizione che la beata avrebbe dato con quella mano, dopo la sua morte, ad una suora. Le braccia si piegano sia sollevandole che abbassandole. Tutto il corpo è ricoperto dalla pelle, ma la carne sotto di essa, si rileva al tatto disseccata>>.
Ancora oggi si può vedere intatto il corpo della beata in piedi nell'abside della Chiesa di Montevergine, esposto alla venerazione del popolo, che in folla vi accorre soprattutto il 20 gennaio data della sua morte. La presenza della Badessa è palese in tutte le decisioni che da allora fino ad oggi si prendono nel Convento e la sua approvazione e disapprovazione si palesa con manifesti segnali quali tocchi di campana, colpi alle porte e alle finestre, soavissimo profumo. Tali segnali sono sempre comprensibili alle altre monache. Per tutte sono sempre presenti gesti chiari di materna bontà. Da 500 anni Smeralda veglia sui messinesi, quelli credenti, quelli scettici, quelli indifferenti e anche su coloro che non conosco la sua storia umana e divina. Per tutti è la Badessa, la Buona Madre. E non solo le suore di Montevergine, ma tutti coloro che a Lei si rivolgono con devozione affettuosa e sincera, hanno potuto sperimentare in tutto questo tempo quale efficace difesa sia l’amorosa e materna presenza di Suor Eustochia.
Una straordinaria coincidenza si verificò nell'anno di grazia 1782. Il 22 agosto, giorno di mercoledì, il Papa Pio VI beatificò Santa Eustochia, pochi giorni dopo, il 14 settembre 1782, lo stesso Papa approvò il culto "ab immemorabili ".
Ripresa la causa di canonizzazione nel 1966, il 21 marzo 1985 sono state dichiarate "eroiche" le virtù della beata Eustochia e il 22 giugno 1987 il Papa Giovanni Paolo II comunicava la sua decisione di canonizzare la Beata Eustochia. Finalmente giovedì 3 dicembre 1988 l'Arcivescovo S. E. Mons. Ignazio Cannavò ha dato l'annuncio gioioso e sorprendente che il Papa l'11 giugno 1988 sarebbe venuto nella città dello Stretto per canonizzare la Beata Eustochia a Messina. S. Eustochia è la protettrice delle partorienti e patrona dei commercianti e continua ad essere uno dei più grandi “tesori” della città di Messina.
Il Papa a Messina per la Santificazione di Esmeralda Eustochia Calafato
Papa Giovanni Paolo II al Monastero di Montevergine in preghiera il giorno della canonizzazione di Santa Eustochia giorno 11 giugno 1988. Queste alcune frasi pronunciate da SS. Giovanni Paolo II durante l’Omelia: La vostra nuova Santa "Messinese", figlia della Sicilia, sembra ripetere attraverso i secoli e le generazioni questo invito di Cristo: <<rimanete in me ed io in voi>>..." "... ho pensato alla vita di questa vostra madre e sorella fondatrice, che oggi arriva agli onori dell'altare come una Santa, Santa di questa terra, Patrona di questa città..." (rivolto alle Clarisse)"... da secoli la invocate come protettrice: continuate ad imitarne la pietà eucaristica; come Lei amate Maria Santissima, la cui devozione è ben radicata nella vostra terra ..."
cliccando qui l' Omelia di Giovanni Paolo II in occasione della visita pastorale a Messina per la canonizzazione della Beata Eustochia Calafato (Messina 11 giugno 1988)
clicca qui ... di seguito il discorso del Santo Padre tenuto nello stesso giorno in Cattedrale e rivolto alle persone Consacrate.
Nota letteraria:
Sulla vita di Santa Eustochia Calafato, clarissa, abbiamo due antichi manoscritti:
· Il primo è nella Biblioteca comunale di Perugia e una sua copia, debitamente collazionata, il 28 febbraio 1781 fu inviata dall'arcivescovo di Messina alla S. Congregazione dei Riti per il processo di beatificazione della serva di Dio (copia pubblicata dal Macrì nel 1903). L'origine di questo manoscritto si fa risalire a un tempo di poco successivo alla morte della Beata, quando suor Jacopa Pollicino, figlia del barone di Tortorici, su richiesta di suor Cecilia, badessa del monastero di S. Lucia di Foligno (con cui le Clarisse messinesi erano in corrispondenza), scrisse la Vita della Calafato, facendosi aiutare da altre suore che erano vissute con la beata. Suor Cecilia, trasferendosi in seguito a Perugia, portò con sè il manoscritto e lo ritoccò.
· Il secondo manoscritto fu ritrovato da Michele Catalano nella Biblioteca Civica Ariostea di Ferrara e da lui pubblicato nel 1942. Composto nel 1493, due anni dopo la morte della Calafato, riproduce con grande fedeltà l'originale, seguendolo anche nelle espressioni siciliane: questo testo "oltre alla notevolissima importanza mistica e al valore agiografico e storico, ha valore non secondario anche nella storia della nostra lingua" .
MIRACOLI
In Vita
- Durante l’ora del pranzo la suora cuoca avvilita si presentò un giorno a Suor Eustochia con il cesto del pane contenente solo 5 formelle e la informò che non ce ne era altro per le 71 componenti la comunità. La Santa Madre tracciò il pane con un segno di croce e questo bastò per tutte e ne avanzò.
- Un giorno una delle clarisse venne colpita alla testa da una tavola del soffitto molto pesante che si era staccata all’improvviso, questo le aveva provocato una profonda ferita. Bastò un segno di croce di Suor Eustochia sul capo della malcapitata perché la ferita si rimarginasse e la guarigione avvenisse in tempi rapidi.
- Nel cortile era stata sistemata da dei facchini una cassa pesantissima. Siccome il cielo minacciava un imminente temporale, la Madre disse ad una sorella di portare la cassa al riparo. Ma questa obiettò che il peso era troppo gravoso per una persona sola e che sicuramente non avrebbe potuto farcela da sola. La Madre tracciò un segno di croce e la suora riuscì a trasportare la cassa senza alcun sforzo e a metterla al riparo.
- Una suora era ammalata di pleurite e si era aggravata ulteriormente tanto che si temeva per la sua vita. Il medico che la seguiva disse che le poteva essere somministrata l’estrema unzione. Ma, dopo il segno di croce impartito da Suor Eustochia la moribonda cominciò a riprendersi fino alla guarigione.
- Alla buona Madre si devono numerose e prodigiose guarigioni ottenute con le sue lacrime che venivano asciugate con dei fazzoletti. Una suora inviò poche di quelle gocce sante ad un suo nipote ammalato di idropisia e con quelle l’ammalato guarì completamente e in breve tempo. Da allora quelle lacrime così gelosamente raccolte furono date agli infermi che ne facevano richiesta e grazie a queste avvenivano guarigioni inspiegate.
- Anche una lebbrosa e una tisica guarirono improvvisamente e definitivamente aspergendosi con quelle lacrime.
MIRACOLI
In Morte
- Numerosi sono i segni, dopo la sua morte, con i quali Santa Eustochia preannuncia eventi futuri funesti e gioiosi. Consola le sorelle inferme con dolci canti e profumi inebrianti che regalano la consolazione alle afflitte.
- Una notte d’inverno Suor Maria Fedele era inferma a letto e avvertiva un intenso freddo. Sulla sedia poco distante vi era una coperta che avrebbe potuto alleviarle quella sofferenza, ma per prenderla doveva chiamare la suora infermiera: Suor Letteria Principato che in quel frangente riposava. Suor Fedele decise dunque di resiste ai brividi per non gravare anch’essa sulla stanca suora che di li a poco avrebbe dovuto ridestarsi per l’ufficio Mattutino. Ad un tratto la porta si aprì e la malata vide entrare una suora che non riconobbe, ma che le adagiò addosso la coperta e uscì silenziosamente dalla stanza. Il giorno dopo chiedendo seppe che nessuna delle consorelle si era recata da lei, quel gesto materno ed affettuoso era stato fatto dalla Santa Madre.
- Anche le postulanti hanno segno se quella vita scelta sarà per loro per sempre o se sarà solo una breve esperienza. Per ognuna di loro ci saranno direttamente dalla Santa incoraggiamenti o dissuasioni che cessano solo quando le ragazze abbandonano il convento.
- A Suor Principato, l’infermiera citata poc’anzi, accadde un fatto strano che le schiuse le porte del Monastero. Nel 1929 il corpo di Santa Eustochia era esposto in venerazione in una chiesetta provvisoria in Via Rocca Guelfonia. Lo sportello di vetro dell’urna era chiuso a chiave e la giovane Principato andava spesso a vederla. Una mattina mentre era lì davanti a Lei in preghiera ebbe l’impressione che lo sportello si aprisse e che la Santa Madre le andasse incontro. La giovane fu colta da paura e alle sue grida accorsero le suore che effettivamente ed inspiegabilmente trovarono lo sportello aperto. La ragazza scoppiò in un pianto dirotto e le suore la consolarono e le dissero che quel fatto significava che per lei stavano per spalancarsi le porte del convento. Cinque anni dopo quel segno si tramutò in realtà e la ragazza entrò tra le clarisse, pur non avendoci mai pensato prima di quel fatto prodigioso.
- Anche S.E. Mons Paino, Arcivescovo di Messina, ebbe segnali della grandezza di questa Santa. Infatti dovendosi procedere alla ristrutturazione del convento di Montevergine dopo il terremoto del 1908, a causa dei molti impegni S. E. non aveva ancora preso in esame la pratica che riguardava ciò. Un giorno mentre era nel suo studio si sentì strattonare nell’abito e senza un perché il suo pensiero corse a Santa Eustochia. Per essere certo di questa sua involontaria intuizione si disse che se era veramente così doveva ricevere un altro segno. Ed ecco che vi fu un secondo strattone senza che vi fosse alcuno nella stanza. Quel segno fu la conferma certa che la Santa Madre voleva che egli rivolgesse la sua attenzione al Monastero. Lo stesso Arcivescovo raccontava spesso questo fatto prodigioso.
- Il libricino della regola di Santa Chiara, piccola pergamena con le regole scritte di pugno dalla Santa di Assisi, che era in possesso di Smeralda, scomparve per anni e fu ritrovato in modo alquanto miracoloso appoggiato sulla spalla sinistra di Santa Eustochia: era il 21 agosto 1681.
- Una consorella non aveva potuto assistere al ritrovamento del documento perché costretta all’immobilità. Saputo però che la pergamena sarebbe stata esposta in parlatorio volle essere presente aiutata dalle consorelle. Mentre era lì, alla fine delle sue preghiere, il miracolo: la suora stava salda sulle sue gambe e camminava.
Il 22 AGOSTO
SOLENNE OMAGGIO A
SANTA EUSTOCHIA SMERALDA CALAFATO
DA PARTE DEL COMUNE
Messina, mantenendo fede ad una antichissima tradizione, il 22 Agosto di ogni anno, rinnova l’omaggio e la devozione dei messinesi a Santa Eustochia Smeralda Calafato con l’offerta di un cero votivo offerto dall’Amministrazione comunale. La Cerimonia si svolge nell’Atrio del Monte di pietà. Il 22 agosto ricorda l’ostensione del corpo incorrotto della Santa. Il sindaco, al termine della solenne celebrazione eucaristica officiata dall’Arcivescovo di Messina, pronuncia il tradizionale impegno:
“Noi qui rappresentati il popolo messinese, alla tua presenza o direttissima Santa Eustochia Smeralda, in questo giorno dedicato all’Ostensione del tuo corpo incorrotto, rinnoviamo con viva fede i Voti tramandateci dai nostri padri. Tu che sei stata sempre vigile e attenta protettrice della tua e nostra città, materna soccorritrice dei tuoi concittadini, continua a preservaci da ogni pericolo, ad esserci guida nei nostri progetti, aiuto sicuro nella soluzione dei tanti e complessi problemi che ci impegnano ogni giorno nel servizio alla nostra città. Insegnaci a superare con la tua umiltà e forza gli eventi contrari e le incomprensioni e aiutaci a realizzare una città sempre più umana, prospera, giusta. A Te dunque affidiamo con animo devoto il presente e il futuro della nostra città, noi stessi, le nostre famiglie, i nostri anziani, i nostri giovani, i nostri bambini, tutte le nostre speranze. Implora su tutti abbondanti grazie e benedizioni celesti”.
La tradizione fu sancita da un decreto del Senato di Messina, del 2 luglio 1777, firmato da Giovanni de Salamone, Giovanni Battista Lazzari, Piero Luigi Donato, Giuseppe Denti, Giuseppe Barone Cianciolo e Domenico Carmisino.
Nel decreto si legge:
“perché questi nostri decreti votivi possano con qualche segno esprimersi e seguire da vicino la sublimità della tua gloria e i tuoi auspici per la Patria, stabiliamo e ti promettiamo impegnandoci per tutto il popolo di Messina e sfidando le ingiurie del tempo, di venire ogni anno a visitare questo sacro tempio il giorno 22 agosto, sacro all’ostensione del tuo corpo, o il giorno 20 gennaio della tua felicissima morte”.
L’offerta del cero, di “38 libbre lavorate”, é una tradizione ripresa nel 1957 con il sindaco Michelangelo Trimarchi. La tradizione si era interrotta nel decennio 1860-1870.
Nella chiesa di S.Nicola
fu battezzata Santa Eustochia
La chiesetta di S.Nicola del Villaggio Annunziata di Messina è il luogo sacro dove fu battezzata Santa Eustochia. Ma dove si trova oggi tale chiesa? E’ convinzione dei più che tale chiesetta oggi non esista più. Poiché non si riesce a localizzarla e a rintracciare la sua posizione. Questo perché le successive sovrapposizioni edificatorie all’intorno dell’antico edificio hanno mascherato e snaturato il primitivo aspetto architettonico di questo importante monumento, legato alla storia dell’ultima Santa di Messina. Ma a ben osservare nel Villaggio Annunziata, ancora oggi, vicino alla casa natale della Beata, esiste tale chiesetta, occultata in un boschetto di alte piante, all’interno del quartiere residenziale Eden Park. La progettazione di tali edifici è stata attuata dall’ingegnere urbanista Oreste Palamara e grazie alla sua sensibilità di storico e studioso di Messina possiamo ancora oggi rinvenirne i resti poiché salvata da questi insieme ad una scuderia del 700, ad una torretta militare, vestigia dell’ultima guerra, a un antico pozzo con croce e ad una galleria filtrante (“bottisco”), costruito dai frati Cappuccini, che portava un’acqua miracolosa verso l’Eremo di S.Nicola che un tempo si trovava lì ubicato. Nel punto più alto della stradella S. Nicola, sul colle che oggi si chiama Poggio Paradiso, si trova la chiesetta dove fu battezzata Santa Eustochia, nascosta dagli alberi, con l’unico accesso chiuso da un lucchetto e da un oleandro cresciuto sulla soglia. Essendo questa chiesetta molto piccola, il popolo talvolta la indicava con il nome di Santa Nicolicchia, che stava a significare “la piccola chiesa di S.Nicola” .Questo vasto sito dove si trova la chiesetta apparteneva fino agli inizi del novecento alla ricca e potente famiglia Costarelli per poi passare alla famiglia Bonanno. I bombardamenti dell’ultima guerra non risparmiarono neppure questi luoghi poiché a 100 metri dalla Chiesa, era stata installata una importantissima batteria antiaerea, che, oltre tutto, era in posizione strategica per il controllo dell’imboccatura dello Stretto di Messina. Ma Santa Eustochia ha compiuto un ennesimo miracolo proteggendo la Chiesa ove aveva avuto la sua ispirazione religiosa, se è vero come è vero che questa opera mostra i segni del tempo ma non quelli dei violenti sganciamenti di bombe.
Massimo Mastronardo