Il 12, il 13 e il 14 agosto ritornano a sfilare alteri e benevoli per le vie cittadine, mitici fondatori della città, i giganti Mata e Grifone.
La leggenda delle leggende, quella più popolare che ogni messinese ricorda e racconta narra che quando la valorosa Messina era uno dei pochi baluardi siciliani che resisteva all'occupazione saracena (correvano gli anni 964 - 970), un gigantesco invasore moro di nome Hassas Ibn-Hammar, sbarcò in città e durante uno dei tanti saccheggi vide la bella cammarota Marta che in dialetto si trasforma in Matta o Mata figlia di re Cosimo II da Casteluccio. Il possente saraceno se ne innamora e la chiede in sposa ma ottiene un rifiuto. Ciò provocò l'ira del pirata antropofago che uccise e saccheggiò più di prima. I genitori, preoccupati, nascosero Marta, ma il moro riuscì a rapirla con la speranza di convincerla a sposarlo. Il pirata ottenne l’amore della bianca e austera fanciulla solo dopo la sua conversione al cristianesimo e il suo nome da Hassan si trasformò in Grifo anzi Grifone per la sua mole. I due innamorati prosperarono ed ebbero numerosi figli: i messinesi appunto.
Mata
e Grifone sono due statue gigantesche che, nel corso dei secoli, sono state
identificate con varie figure della mitologia: Kronos e Rhea,
Saturno e Cibele, Cam e Rea, Zanclo e Rea, Mata e Grifone. Sulla
loro genesi le tesi sono diverse. E' tuttavia molto probabile che la loro
origine sia da collocarsi intorno alla fine del XVI sec., in un momento in cui
si era di nuovo inasprita la rivalità tra Messina e Palermo, che si contendevano
il ruolo di capitale. Nel 1591 Filippo II ordinò che il
Vicere risiedesse a Messina per 18 mesi ogni triennio. In questi anni le due
città facevano a gara nell'esibire titoli e privilegi che potessero far
prevalere l'una su l'altra.
Nel 1547 in contrada Maredolce, a Palermo furono rinvenute delle ossa
gigantesche, probabili resti dell'antica fauna che aveva popolato l'Isola in
epoca preistorica (elefanti nani e ippopotami). Questo ritrovamento fece
asserire ai Palermitani che la loro città era stata fondata da "Giganti", quindi
in epoca assai remota, e ciò le arrecava un maggior prestigio rispetto alla
città dello Stretto.
Forse fu per reazione a queste pretese che il Senato di Messina ordinò
la costruzione delle due statue. E' possibile che la statua di Zanclo, chiamato
poi Grifone
dagli inizi del 1800, sia stata costruita poco prima di quella della compagna. Il
primo a parlarne, Francesco Maurolico, matematico ed erudito messinese,
cita infatti solo il gigante.
La loro costruzione comunque è attribuita al fiorentino Martino Montanini,
allievo del Montorsoli che in città eseguì anche le splendide fontane di Orione e del
Nettuno.
Mata e Grifone sono due colossali statue equestri lignee, cave all'interno, che
superano gli otto metri d'altezza. L'attuale posizione, a cavallo, risale al
1723 anche se fu solo negli anni '50 di questo secolo che le zampe dei cavalli
furono completate e i due giganti caricati su carrelli con ruote per essere
trainati più facilmente.
Nella loro originaria costruzione venivano sollevate e portate a spalla con un andamento traballante
che imitava la cavalcata. Le due statue hanno ricevuto vari restauri, Mata fu
rifatta per intero, dopo essere stata irrimediabilmente danneggiata nel sisma del
1783, dopo il terremoto del 1908 e in seguito ai bombardamenti della seconda
guerra mondiale, fino all'ultimo intervento del 1986.
Grifone, che cavalca uno stallone nero, un tempo bianco, ha una
bellissima testa di moro, incoronata con foglie di lauro e ornata da orecchini a
mezzaluna. Indossa una corazza sopra una corta tunica bianca bordata in oro.
Nella mano destra impugna una mazza di metallo, con la sinistra tiene le redini
e al braccio ha uno scudo ovale al cui interno vi sono raffigurate tre torri
nere su sfondo verde. Porta al fianco una bella spada la cui elsa è ornata da
una testa di leone e da due teste di uccelli rapaci. Sulle sue spalle, un
mantello di velluto rosso.
Il colore della sua pelle ha fatto attribuire antichissime origini etiopi al
mitico fondatore di Zancle oltre a qualche legame con alcune tradizioni arabe.
Il suo matrimonio con una donna bianca ha certo un significato emblematico per
una città al centro del Mediterraneo.
Mata, su un destriero bianco, un tempo scuro, simboleggia l'elemento indigeno.
La tradizione la vuole nativa di Camaro, antico quartiere cittadino sull'omonimo
torrente. La testa è un rifacimento eseguito dallo scultore Mariano Grasso nel
1958. Presenta sul capo una corona con tre torri, sicuramente le torri dell'antico
castello di Matagrifone, oltre che ramoscelli e fiori; dalle orecchie le
pendono orecchini d'oro. Indossa una corazza di colore azzurro con ricami in oro
sopra una veste bianca che le copre le ginocchia; porta ai piedi calzari con
stringhe intrecciate. Sulle spalle un mantello di velluto blu.
Nel 1993 è stata
ripresa la tradizione, interrotta più volte dal 1909, di farli seguire da
un'altra machina che rappresenta un cammello o Cammellacio. Per alcuni rievocherebbe l'entrata
a Messina di Ruggero d'Altavilla sul dorso di un dromedario dopo la sconfitta
degli arabi; per altri il predone arabo che esigeva i tributi al popolo.
Altra
leggenda vuole collegare il mito di Mata e Grifone a Riccardo Cuor di Leone
Secondo gli storici l'intervento a Messina del re inglese si ebbe per la
secolare rivalità tra la comunità greca dei Griffones, influente e dispotica,
che deteneva il potere politico, giudiziario ed amministrativo e il Latini. I
Griffones temevano tutti gli stranieri e sopraffacevano gli altri abitanti
soprattutto i Latini, che invece, grazie a Re Riccardo, riacquisiranno la
propria identità e la propria libertà. Riccardo soggiornando a Messina costruì
un’imponente opera architettonica che è la Rocca Guelfonia o Matagrifone, che
si eleva sulla collina omonima e domina la città. Dall’unione del verbo latino
latino maetere=ammazza e Grifoni=greci, detto in senso, dispregiativo
deriverebbe il nome di Matagrifoni ovvero Ammazzagreci poiché il Re Riccardo
aveva in grande avversione la componente greca della città. (vedi
http://www.granmirci.it/storia1.htm
)
Massimo Mastronardo