Dopo che Scilla fu trasformata in mostro Glauco aveva preso l'abitudine di uscire con la barca fuori dalle acque dello Stretto e di avvicinarsi all'antro di Scilla. Quando giungeva nei pressi, la chiamava per nome e cominciava a rammentarle il tempo felice dei loro primi incontri. L'orrido mostro, più di una volta, fu sul punto d'avventarsi contro con le sue bocche latranti ed inghiottirlo. Ma, probabilmente nel suo cuore c’era ancora qualcosa del suo amore di donna. Così, dopo aver latrato minacciosa, finiva per acquietarsi e rientrava nelle buie caverne marine mentre Glauco, afflitto e disperato, tornava alla spiaggia dello Stretto.
E intanto passarono gli anni. Glauco, sempre più malinconico, divenne un vecchio curvo, pieno di ricordi. Egli, non si allontanò mai più dalle rive dello Stretto e continuò a vivere solitario ed eremita, vivendo solo del prodotto della sua pesca. I capelli e la barba gli si erano incanutiti, ma gli occhi erano vivi e lucenti e un poco tristi custodivano il tenero e mai scomparso ricordo di Scilla quando, ancora giovinetta, dolce e bellissima, si era perdutamente innamorata di lui ed egli voleva conquistare il suo limpido cuore.
Una volta, mentre tornava da una pesca lontana, vide in mezzo al mare un'isola bellissima piena d'alberi e di fiori. Persino sul bagnasciuga vi cresceva un'erbetta verde e argentata, soffice e molle come un bellissimo tappeto.
Glauco accostò con la barca a quell'isola sconosciuta, tirò a secco le reti e sedette sulla soffice erba, cominciando a selezionare i pesci pescati. E allora egli vide una cosa incredibile, meravigliosa. Quei pesci, appena toccavano quell'erba, tornavano a vivere, e a piccoli balzi saltellavano verso il mare, e vi si tuffavano dentro riacquistando vita e vigore.
Glauco restò sbalordito. Mai, in vita sua, aveva visto cose simili. Ora era vecchio e stanco, ma quello che vedeva era realtà e non sogno, non era una visione dei suoi occhi stanchi. Volendo capire quale era il segreto di quel fatto prodigioso colse un ciuffo di quell'erba e lo mangiò. Oh, che sapore bellissimo aveva quell’alga! Nella sua mente tornò il ricordo degli aromi dei cibi mangiati nella prima fanciullezza, e gli parve d'avere in bocca zucchero e miele ed elisir, e tutte le leccornie che aveva mangiato da bambino. E allora ne colse nuovamente e ne mangiò ed ancora ed ancora fino a divenire sazio.
E allora in lui s'avverò il miracolo, accadde il prodigio. Il suo corpo ebbe un fremito. I suoi piedi cominciarono a colorarsi di verde e poi le gambe, le braccia, il busto e la faccia, divennero anch'essi verdi come il colore di quell'alga che aveva mangiato.
La sua barba cominciò ad assumere un bel colore verde e su tutto il corpo gli spuntarono peli verdi e lunghi, sottili e fini come fili di seta. E mentre avveniva tutto ciò il cuore di Glauco si riempiva di gioia. Intanto una forza incontenibile, più grande della sua stessa volontà, lo fece alzare da terra e correre verso il mare, dentro al quale s'immerse con un gran balzo.
Oh, il grande dolce sapore del mare, l'estasi sublime in cui ogni sentimento s'annulla e la pace si confonde con la gioia! Lievi le onde lo accarezzarono sfiorandolo e Glauco, il biondo ceruleo Glauco, divenne un tritone del mare, immortale e profetico.
Sul fondo egli vide una casa attorniata da un giardino bellissimo, pieno di alghe e di coralli, un caleidoscopio di colori stupendi, mentre attorno si udiva una musica dolcissima e allettante. Vi entrò e ne fece la sua reggia. Da quel giorno Glauco volle restare per sempre nel mare dello Stretto. Si rivide con Scilla? Le parlò? Cessò, per questo, Scilla, di far strage dei naviganti?
Dice la leggenda che anche ai tempi nostri, quando infuria la tempesta, Glauco solleva il capo al di sopra delle onde e subito, il mare si fa calmo e diventa invitante, come lo era nella preistoria, quando Scilla era ancora una fanciulla bellissima pronta ad amare e non un feroce mostro marino, con dodici gambe e sei latranti teste canine.
Massimo Mastronardo